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8 agosto 2018
Non ricordo che anno fosse e nemmeno per quale motivo stessi da loro, ricordo che la situazione era relativamente calma ma già rivolta verso il peggioramento.

 

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El viejo
aveva reagito bene all’operazione ed alla lunga convalescenza che aveva affrontato per l’ aneurisma inguinale bilaterale e dopo la riunione familiare aveva detto di NON voler conoscere la natura della macchia al polmone basso, apparsa in una radiografia, dicendo «hoo fumaa ciquant’ann, po’ minga vess ona maggia del obbiettiv».
Aveva comunque deciso di seguire le visite che i medici gli avevano consigliato al reparto “palliativi” – delicato termine che la Sanità spagnola usa per identificare le cure ai pazienti terminali – andando quasi mensilmente, a Santa Cruz con la “Poti Poti” – così la mamma chiamava la Fiata 600 che inizialmente era stata acquistata per provare le specialità dei vari “bodegon”sparsi nell’isola.

La Nemi (che non voleva assolutamente che la chiamassi vieja) aveva invece già imboccato, nonostante i nostri ripetuti incitamenti a desistere, a strada dell’allontanamento da tutto e tutti, compresa se stessa.
Una scelta in parte consapevole ed in pare , ci hanno detto i medici, compresa tra gli effetti collaterali dovuti dalla quantità di farmaci che ogni giorno ingeriva, nella tentativo di curare i danni dei ripetuti ictus e mini- ictus sofferti negli anni precedenti.
A volte, anche per questioni di poco conto, assumeva posizioni intransigenti. Una peculiarità che l’ha sempre fatta amare da taluni compagni di partito o di schieramento, ma che in quel periodo e principalmente quando rivolte verso di noi o di qualche amico del bar, si trasformava in atteggiamenti “discriminatori” che contribuivano al sempre maggiore distaccamento dalla vita… normale.

Uno delle fonti di attrito domestico era la gestione dei programmi TV da vedere.
Alcuni giochi, questioni o argomenti che nelle trasmissioni rivolte al pubblico disimpegnato che sconfina nel “pettegolo” alle quali non aveva mai dedicato nemmeno un minuto della sua attenzione, erano diventate il suo interesse quotidiano. E… trascorrendo solo e sempre noi tre l’intera giornata nella medesima stanza, il nostro tentativo di sottrarci alla somministrazione quotidiana di questi deliri, diventava regolarmente motivo di attrito.

Ero sconcertato pensando come alcuni temi che una volta erano stati sue “bandiere di lotta” ed impegno sociale e politico ora non le interessassero più. A volte, con un cenno furtivo del capo, attiravo l’attenzione di papà per fargli notare il totale disinteresse per una importante notizia, oppure gliene parlavo nel tragitto quotidiano da casa al supermercato, (ormai unica uscita di casa oltre a quella del bar mattutino) per sentirgli dire… puntualmente “se ghemm de fagg? Hann dì che hinn i medesin.”.

Anche il fumo, ma questo principalmente con me, era motivo di attrito per non dire litigi quasi quotidiani.
Fumava come un turco, anzi due, ed io non accettavo di vederla consegnarsi al male così consapevolmente. A volte mi sembrava che lo facesse volontariamente, sfrontatamente, davanti a noi pur sapendo che no avrebbe dovuto farlo, che ci addolorava, quasi o forse aspettando un nostro – mio perché el viejo taceva sempre – rimprovero, per poi avere il pretesto di litigare.
Come a volerci colpevolizzare del suo stato critico di salute o… del suo declino fisico. Credo che fondamentalmente lei, a differenza di papà, non accettasse di invecchiare. Speriamo di aver preso dal viejo, perché se nooooo io non sarò di certo meglio di lei.

Per reazione ai nostri (miei) rimproveri, a volte andava sul balcone della loro camera da letto a fumare, “allontanandosi” per il tempo di una, due… tre sigarette.
Una volta sono sceso qualche minuto poco dopo di lei per andare in bagno. Era lì, seduta (naturalmente sigaretta accesa in mano) che guardava il palazzo di fronte.
Passando accanto alla portafinestra, da dietro la persiana mi sono fermato a guardarla, a… spiarla.

Mentre la guardavo assorta nei suoi pensieri, inconsapevole di essere vista, sentivo un dolore forte al cuore, come se una mano me l’avesse preso lo stringesse lentamente con una forza crescente.
Lo sguardo fisso nel vuoto, il gesto cadenzato di portarsi la sigaretta alla bocca ed il fumo che senza fretta espelleva dopo averlo aspirato, sembrava rimarcassero la lontananza nella quale si trovava, non solo mentale dei pensieri di quell’attimo, ma anche fisica.

Mentre la guardavo persa nei suoi pensieri, è arrivato papà forse incuriosito per la duplice assenza. Avevo le lacrime agli occhi ed al suo sguardo interrogativo ho risposto dicendogli “l’abbiamo persa… ormai”.
Con un cenno della testa ed appoggiandomi la mano sulla spalla si è soffermato qualche secondo a guardarla da dietro la persiana, prima di cogliere l’occasione per fare una pisciatiella.
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Negli ultimi anni della loro vita, in varie occasioni, anche per lunghi periodi, siamo tornati a vivere assieme. Come prima che nascesse Fausto, con la differenza che in qui periodi ero un uomo, ed ero io a prendermi cura di loro. Complice la stretta e forzata vicinanza fisica, ho avuto l’occasione e la fortuna di poter parlare, affrontare argomenti molto intimi anche del passato, e vivere momenti incredibilmente intensi di sincerità, privi delle logiche ed imbarazzanti inibizioni che esistono tra genitori e figli quando ancora giovani.

Come la notte dell’otto di agosto del 2013, quando il Bellevue, l’ospedale di Puerto de La Cruz ha telefonato.

Erano le 04:20h, il telefono è squillato forse più volte di quelle che ho sentito prima di rispondere ancora addormentato
– Pronto…
- Estoy hablando con don Elio?
– Si…
– Aqui è el hospital Bellevue. Lo siento comunicarle que dona Nemi è fallecida. Aguardamos alguien para el reconocimiento.
– Si…

La luce di papà si era accesa, e lui, appoggiato ai tre cuscini che usava per dormire da seduto, nel tentativo di lenire gli attacchi di tosse e muco che da qualche giorno lo avevano aggredito, e che solo tre giorni dopo avremmo scoperto essere il campanello d’allarme del risveglio del tumore che si lì aveva controllato, senza parlare ma utilizzando il suo “universale” cenno interrogativo del capo, mi chiedeva cosa fosse successo.

- è morta.

Dopo… dopo è un’altra storia. La reazione che abbiamo avuto nelle ore immediatamente successive a quella telefonata è incredibile e così intima che preferisco tenerla tutta per me.

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Beijos Ivo

 

Ps. Per fortuna che ora c’è Anita che con un sorriso ed un abbraccio mi fa dimenticare tutte le brutture, le ingiustizie e le amarezze che provo a stare in questo mondo.
Lei ancora non sa, che quando mi stringe, a ricevere quell’elisir di gioia siamo in due a goderne.

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Precisazione: la parola "nai" che scritta nel titolo, per una volta non né un refuso né il frutto della mia dislessidistrazione, è l'acronimo, dal mio punto di vista ma senza punti, di... Nemi, Anita ed Ivo.

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