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magg 2018
Non sono mai sta un assolutista, e diffido da coloro che affermano di esserlo, quelli che "o è bianco o nero". Nemmeno da ragazzino, quando contestavo tutto e tutti perché credevo che il mondo potesse cambiare e pensavo che sarebbe stata la mia generazione a farlo. Figuriamoci oggi, "che g'hoo i speroni (ai gombet**)" e coi tempi che corrono.

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Dicono «negro di m…» all’attaccante. E allora l’allenatore ritira la squadra - Bergamo: insulti razzisti: «negro di m…» al bomber e l’allenatore ritira la squadra - "Negro di m...": insulti razzisti alla partita di ragazzini, allenatore ritira la squadra - Razzismo a 13 anni, la squadra di calcio si ritira

Oltre ai titoli qui riportati, dei quotidiani online che hanno trattato la notizia dell’insulto, qui di seguito ti ho preparato un’ estratto dal telegiornale nazionale, quello regionale, di un’emittente FM che puoi vedere/ascoltare cliccando sull’immagine qui sotto.
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Ok… Quando leggo titoli o sento queste notizie così “strillati” ed “assolutistici” prima sento il desiderio di immedesimarmi nel soggetto già condannato (da bambino la maestra diceva che avrei dovuto fare “l’avvocato delle cause perse”) poi mi viene voglia di capire meglio la storia, e la rete, spesso mi da belle soddisfazioni.
Quando poi … ho la possibilità di approfondire personalmente la questione, come questa volta, appena riesco scrivo un post. Eccolo.

Ho cominciato col chiedermi: quanti di noi a tredici anni, dopo aver subito un fallo NON hanno reagito insultando l’avversario? Se sì, e non credo sia no pochi, che punizione abbiamo ricevuto? Come l’abbiamo presa? Che sentimento abbiamo provato per il collega offeso? Come ci hanno considerato i parenti e… gli amici?

Con tutte queste domande in testa, ed altre ancora, come: la decisione del mister “offeso” di ritirare la squadra dal torneo è proporzionata al fatto realmente successo? Avrà considerato gli effetti collaterali su entrambi i giovani giocatori? Come vivrà il suo giocatore la fulminea notorietà, non ottenuta per la sua bravura calcistica ma per un’offesa ricevuta per la differenza del colore della pelle dei due litiganti, che l’intervento del mister l’ha sancito incapace di gestirsela? (Sinceramente io non credo l’offesa sia stata fatta partendo da un sentimento discriminatorio).

È stato giusto sottoporre alla gogna mediatica (fortunatamente per il “colpevole” anonima) di un ragazzino di 13 anni? Come vivrà ora la quotidianità del quartiere? Credo che lì, dove è conosciuto non verrà “condannato” come frettolosamente hanno fatto i media.

È normale ed educativo che i media diano tanto rilievo (TG3 nazionale e TGR Lombardia, Radio FM e quotidiani online) ad un episodio del genere occorso tra due tredicenni ed un mister… “integralista”?
N.d.r. Ho pensato che il mister-fondamentalista o è molto fortunato ad aver trovato in quegli importanti media, un “buco in pagina” così grande da decidere di tapparlo con l’insulto di un adolescente ad un coetaneo o possiede ottime entrature nel momdo delle comunicazione che farebbero invidia a qualunque politico. 

Oltre a chi (stanche, deluse, rassegnate… scoglionate) che hanno reagito alla notizia ritenendola esageratamente imbottita di certi significati politici/sociali, (in Brasile riassunto col detto: una tempesta in un bicchier d’acqua) sì dicevo… oltre a me, come l’avranno presa quelli che al contrario del fulmineo e consistente cambiamento della nostra società danno un opposto significato politico/sociale ugualmente “integralista”?
Credo che sia stata una “sponda” controproducente, meglio sarebbe scegliere aneddoti, situazioni “disinfiammatorie” o con un concreto contenuto meritevole di essere denunciato.

Ultima domanda: ma non si poteva trovare un “soluzione” intermedia?

Allora, desiderandola e preso dal gradevole rumore dei tasti della tastiera del mio computer, ispirato dalla telefonata con un caro amico che offre la sua disponibilità ed esperienza sportiva (gratuita) al Rozzano Calcio, che m’ha informato di alcuni significativi particolare della vicenda, ho riscritto un racconto il cui svolgimento corrisponde a come avrei voluto che andasse a finire la vicenda.

Se vedom… Ivo


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** Un'amica mi ha fatto giustamente notare che l'espressione "i speroni" è corretta se si desidera far riferimento all'età non più giovanile.
La tosa smile35x3  aggiunge che "ai gombet" - ai gomiti è errato, perché il detto popolare si riferisce agli speroni dei galli e non ai gomiti umani.
Un grazie all'affezionata lettrice, della quale non vi dirò il nome, ma solo le iniziali di nome e cognome.
Tanti basitt P. B. (Basitt perché è plurale, se fosse un bacino sarebbe basin)  smile35x3 

 


Specchio dei tempi

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Anche a me è successa la stessa cosa, però fortunatamente con un finale più bello. Ma allora… erano altri tempi.

Amavo il calcio come qualunque dei miei coetanei e giocavo nel ruolo di attaccante nella squadra degli esordienti dell’oratorio (allora unica entità aggregativa del quartiere). Tutti i miei compagni di squadra erano anche miei compagni di scuola alla scuola media di Piazza Abbiategrasso.

Era nelle interminabili partite, 15 contro quindici, dove si faceva rimbalzare la palla sul bordo del marciapiede per scartare l’avversario, dove non si passava mai “dai passa venezia” dove guadagnavi o perdevi un fallo perché vigeva la legge del più forte – chi gridava/insultava di più vinceva. Non c’era l’arbitro ed ognuno di noi era un arbitro.
In genere la questione si risolveva mettendo con autorità la palla in posizione e si calciava subito il fallo, per non iniziare la controversia, se venivi impedito si passava alle spinte e se anche questo non funzionava, si passava agli scontri di petto accompagnati da banali insulti come “stronzo vattene”. La fase successiva erano lo scambio di insulti pesanti che comprendevano i “terrone/milanese di …” a seconda dell’avversario. 

Il limite agli insulti era il “figlio di puttana” che… una volta pronunciato, se ribattuto dal “non toccare mia madre se no ti spacco la faccia” lasciava solo due sole possibilità: o mollare il pallone all’avversario o saltargli addosso prima che fosse lui a farlo. 

“Terrone/milanese di …” lasciava ancora un largo margine di contrattazione, tanto che quello stesso “terrone/milanese di …” il giorno successivo potevi trovartelo come compagno di squadra o addirittura lo sceglievi per primo al momento della formazione delle squadre. 
N.d.r. Allora a Milano di neri non c’erano, ma suppongo che se ce ne fossero stati, anche “negro di m…” sarebbe entrato a far parte del rosario di insulti che usavamo.

Da qualche tempo guardavo le partite della mia squadra dagli spalti, perché in una delle prime partite del campionato, avevo subito un brutto fallaccio che mi aveva provocato un grave infortunio. Ero stato costretto ad una lunga cura e poi riabilitazione, che oltre ad impegnare mamma e papà per accompagnarmi, li aveva messi in ansia per il mio rientro in squadra.

Alla fine, il costante impegno alle sedute di riabilitazione la caparbia esecuzione di tutti gli esercizi, anche i più dolorosi, con la martellante opera di coercizione implorante, con la promessa che non mi sarei più fatto male, sono riuscito a strappare ai mie genitori, il permesso di ritornare a giocare in squadra.

La sera precedente al mio rientro, ero suoer-carico. Mi ero immaginato protagonista di uno spettacolare gol, che sarebbe stato decisivo per le sorti i quell’incontro sul campo dell’Isola Calcio.

Il primo maggio del 1968, (non ho mai dimenticata quella data) sono entrato negli spogliatoi, ed accolto dai compagni di squadra come un eroe, del mister (allora “solo” allenatore) con una paterna pacca sulla spalla (era uno di poche parole lui) sono entrato in campo col desiderio di fare una partita ECCEZIOANLE. 

Ad un certo punto, forse per l’incitamento della prevaricante (per numero) tifoseria di casa o l’importanza dell’incontro, la partita, da agonistica si è punteggiata - da entrambe le parti, di interventi poco sportivi. Durante una azione stavo concludendo il mio attacco verso la porta avversaria, quando un’attaccante dell’Isola, completamente fuori posizione, m’ha bloccato con una brutta entrata fallosa.
Uno scontro duro e molto pericoloso dopo il mio infortunio, che m’ha spaventato ed indispettito parecchio – per esprimermi pacatamente.

M’ha fatto incazzare di brutto, per dirla come si diceva al Chiesa Rossa, una vigliaccata.
Nel rialzarmi non mi sono trattenuto e gli ho detto “terrone di …”.
Così mi sembrava… dall’aspetto. 

Offesa alla quale ha subito risposto dandomi del… (sceglila tu quale). Tutto ok, ho pensato, evidentemente anche lui è dalla stessa “scuola calcio”. 

Dopo quell’incidente, le rispettive posizioni (essendo entrambi attaccanti) fortunatamente non si sono più incrociate/scontrare, ed io resomi conto della “cappella” che avevo fatto e di esser stato fortunato che l’arbitro non avesse sentito, ho deciso, di chiedergli scusa a fine partita, quando ci saremmo stretti la mano.

Così, all’uscita dal campo, alla consueta stretta di mano, avvicinandomi “all’isolano” me la sono vista rifiutare. Un gesto assolutamente inaspettato ed assolutamente non sportivo che ho vissuto come un’umiliazione che non meritavo, alla quale non ho comunque dato peso. 

Il nostro allenatore, ha notato lo screzio, ed ha chiesto alla nostra ala sinistra, che mi era affianco, Michele La Porta (per gli amici Michael the door, anche detto “il negro” per il colore non “pallido” della pelle) cosa fosse successo tra me e l’avversario, per non essersi scambiati la stretta di mano.
Riferita la storia e le precise parole che avevo usato nell’insultarlo, mi ha chiamato in disparte per darmi una lavata di testa (senza diritto di replica).
Poi, assieme al Presidente della Società, Marcantonio Colonna, (un uomo tutto d’un pezzo) mi hanno accompagnato nello spogliatoio dei padroni di casa, e dopo aver chiesto al loro allenatore di radunare la squadra per ascoltare cosa avevo da dirgli, con un cenno, mi ha fatto segno di iniziare. Metà erano ancora sudati ed il resto erano in mutande (una situazione surreale) ho farfugliato le mie laconiche “scusate”. 

Scuse che non ha per nulla soddisfatto il mister, che con un “frucc” (spintarella benevola) ed un perentorio “Chiedi bene scusa, guardando tutti in faccia, principalmente chi hai offeso!”.

Ferrara Ciro si chiamava il coetaneo che avevo insultato, il nome l’ho scoperto in seguito guardando il foglio con la formazione delle squadre.

Naturalmente ho obbedito, nonostante gli sghignazzi dei padroni di casa e dei miei compagni che nel frattempo ci avevano raggiunti, prima alla squadra ed alla loro Società, poi a Ciro, guardandolo come mi era stato chiesto.

Ciro era quasi più imbarazzato di me, vedendomi arrancare cosi “malamente” con le parole e trovandosi in mutande sotto gli occhi di tutti. 

A quel punto il loro illuminato allenatore (mi pare si chiamasse Vladimiro Torcia) ha avuto la brillante idea di chiamare Ciro fuori dal gruppo, provocando una risata generale per la maggiore visibilità delle sue mutande, ha preso le nostre mani e le ha unite nella stratta precedentemente mancata.
Poi… sull’onda del ritrovato spirito sportivo, ci ha spinti in un ancor più imbarazzante abbraccio, accolto con una sonora risata dai presenti, mister inclusi. 

Alla punizione sportiva (un mese di esonero dal campionato) si è aggiunta quella familiare, che mi haaftto tornare a calpestare l’erba dei campi di gioco solo l’anno successivo.
Dell’amico Ciro non ho più saputo nulla, nella formazione degli dell’Isola iscritta al campionato 1970/’71 il suo nome non c’era più. Il loro mister mi ha detto che era tornato a Napoli coi genitori quell’anno stesso.

Anni ed anni dopo, forse nel 1987 o giù di lì, ormai trentenne, sposato con un figlio, il calcio che praticavo era quello da seduto sul divano assieme agli amici di sempre. Durante una partita della nazionale (pizza, birre e rutto libero) osservando il gioco “virile” del nostro terzino di nome Ciro Ferrara, mi ha fatto venire un dubbio, che Michele mi ha subito chiarito:
«Ehi Negro… sarà che quel Ciro Ferrara lì è lo stesso del “terrone di …” di quella voltaaaa?»
«Non rompere milanese del cazzo. Ma... quale volta?»
«Da ragazzini, alla partita contro l’Isola, che ho insultato quello»
“Ahhh quella… Noooo - m’ha risposto Michael the door - quello era un cane, l'er minga bòn de giogà»
«Eppure… c'ha qualcosa...».

Gooooooooooooooool.

Concludo complimentandomi con l’allenatore, il Presidente e la Società Rozzano Calcio, per aver dato un esempio sensato del comportamento sportivo da adottare in un difficile vicenda.
Mi congratulo con i genitori del giovane, con lo stesso calciatore e con tutti gli amici che gli sono vicini, convinto che la gestione condotta “malamente” dalla squadra avversario non modifichi i principi culturali di un vero sportivo.

Se vedom… Ivo


Tratto dalla pagina facebook del Rozzano Calcio 3 maggio h 17:49

IL PENSIERO DELLA ROZZANO CALCIO SULL’EPISODIO DI MARTEDÌ 

toni_grigio003Partendo dal presupposto che non è nostra intenzione né minimizzare l’accaduto né giustificare ciò che risulta essere ingiustificabile , ci teniamo solamente a raccontare i fatti di Martedì:
il ragazzo ha offeso l’avversario con la frase che ormai tutte conoscete, lo stesso accortosi del tremendo sbaglio commesso si è avvicinato per chiedere scusa, scuse che non sono state accettate dall’avversario (scelta più che comprensibile).
Il nostro Mister una volta a conoscenza dell’accaduto ha subito preso un’importante decisione ovvero mandare il ragazzo a fare la doccia comunicandogli che la sua giornata calcistica sarebbe finita e che sarebbero stati avvertiti i genitori per riportalo a casa.
A quel punto il nostro Presidente Marco Capitelli, che era sugli spalti ignaro di quanto fosse successo, si è recato negli spogliatoi che ospitavano il Pontisola per porgere le scuse a nome di tutta la società al ragazzo offeso.
Una volta uscito dagli spogliatoi, ha espresso il suo parere contrario all’abbandono del torneo al Mister del Pontisola, considerato che l’unico colpevole dell’ingiuria era stato già allontanato dal campo e nessun altro atleta di nessuna squadra aveva avuto un comportamento irrispettoso verso altri giocatori, sostenendo che non devono pagare altri gli sbagli del singolo. Diverso sarebbe, se ci fosse stato un clima ostile da parte dei giocatori o spettatori nei confronti del ragazzo o della squadra, in quel caso sì che sarebbe stata condivisibile la scelta di abbandonare il torneo.
Detto ciò ribadiamo che il fatto spiacevole commesso dal nostro tesserato è deplorevole.
Nella giornata di ieri, il nostro Presidente ha contattato il Presidente del Pontisola per porgere le scuse ufficiali a nome della società,della famiglia e in particolar modo del ragazzo. Stessa cosa da parte della famiglia del ragazzo dispiaciuta per l’accaduto che si è scusata con noi, con il Pontisola e soprattutto con il ragazzo e la sua famiglia e condivide a pieno la decisione di aver sospeso dall’attività il ragazzo per un mese.
Ribadiamo ancora una volta che non è nostra intenzione minimizzare l’episodio, ma ricordiamo a tutti che stiamo parlando di un ragazzo di tredici anni che ha cercato immediatamente di scusarsi, ha ammesso di aver commesso il fatto, ha accettato l’allontanamento e compreso la sospensione da parte della società.
Siamo certi che questa giornata se la ricorderà per molto tempo e sarà per lui fonte di insegnamento, fortunatamente non stiamo parlando di un uomo oramai formato ma di un ragazzino che è partito con il piede sbagliato nel percorso dell’adolescenza.
Auspichiamo in un futuro prossimo di poter dare la possibilità ai protagonisti del fatto di potersi stringere la mano e dare un bel esempio di come lo sport possa andare oltre ….

 

P.s. Quando ero ragazzino ancora si sentiva questa canzone che parla di un popolo di negri che...     e nessuno si è mai sognato di additarla come un canzone razzista, anzi la cantavamo tutti  oggi si trova in un canale di canzoni per bambini. Sarà sfuggita la matrice razzista.

Ascoltala 

 Nel continente nero, paraponzi ponzi pò
Alle falde del kilimangiaro, paraponzi ponzi pò
Ci sta un popolo di negri che ha invenato tanti balli
Il più famoso è l'hully-gully, hully-gully, hully-gu
Siamo i watussi, siamo i watussi, gli altissimi negri!
Ogni tre passi, ogni tre passi facciamo sei metri!
Noi siamo quelli che nell'equatore vediamo per primi la luce del sole,
Noi siamo i watussi!
Siamo i watussi, siamo i watussi, gli altissimi negri!
Quello più basso, quello più basso è alto due metri!
Qui ci scambiamo l'amore profondo dandoci i baci più alti del mondo,
Siamo i watussi!
Alle giraffe guardiamo negli occhi, agli elefanti parliamo negli orecchi,
Se non credete venite quaggiù, venite, venite quaggiù!
Siamo i watussi, siamo i watussi, gli altissimi negri!
Ogni tre passi, ogni tre passi facciamo sei metri!
Ogni capanna del nostro villaggio ha perlomento tre metri di raggio
Siamo i watussi!
Nel continente nero, alle falde del kilimangiaro,
Ci sta un popolo di negri che ha inventato tanti balli
Il più famoso è l'hully-gully, hully-gully, hully-gu
Siamo i watussi, siamo i watussi, gli altissimi negri!
Quello più basso, quello più basso è alto due metri!
Quando le donne stringiamo sul cuore noi con le stelle parliamo d'amore,
Siamo i watussi!
Qui ci scambiamo l'amore profondo dandoci i baci più alti del mondo,
Siamo i watussi!
Noi siamo quelli che nell'equatore vediamo per primi la luce del sole,
Noi siamo i watussi!
Nel continente nero, alle falde del kilimangiaro,
Ci sta un popolo di negri che ha inventato tanti balli
Il più famoso è l'hully-gully, hully-gully, hully-gu
Compositori: Carlo Rossi / Edoardo Vianello
Testo di I Watussi © Universal Music Publishing Group