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Martedì 8 de agost 2017
Oggi si completano quattro anni che l’indirizzo Skype di mia madre è NON DISPONIBILE.

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Papà mi aveva avvistato dell’improvviso ricovero della mamma, con Skype, il “nostro” sistema di comunicazione che da anni avevamo adottato.
Quella volta mi trovavo in una cittadina della costa Baiana, naturalmente senza la mia “postazione” e la linea ADSL., ma con tutti i problemi di copertura internet della zona.

Per sicurezza, passaporto e soldi e biglietto di ritorno, li avevo lasciati a Salvador. Utilizzavo come sempre bus di linea e Van (furgoncini Volkswagen di privati che hanno orari inaffidabili) per spostarmi e già questo faceva del semplice ritorno a Salvador un viaggio.
Alla fine, tra una cosa e l’altra è trascorsa una settimana prima che tornassi a Salvador, altri tre giorni per cambiare i biglietto, trasferimenti da e per gli aeroporti e volo per Milano. Più altri due per arrivare a Tenerife. Nei momenti che non ero in movimento cercavo di contattare il viejo con Skype, al quale avevo “imposto” di accendere il PC appena sveglio, e se e quando mi vedeva connesso, di chiamarmi per tentare di aggiornarsi. 

Scrupolosamente si era annotato, così da eseguire correttamente i passaggi per lasciare un messaggio e quelle stesse procedure che quando venivano effettuate dalla mamma, erano ispirazione per sberleffi e prese in giro, magari fatti al bar con gli amici… italiani.
Scherno che non faceva affatto incazzare la mamma, le dava modo di mostrare la sua preparazione informatica, e a sua volta, di sbeffeggiarlo dicendo: «più che pittare, fare le parole crociate, mangiare e dormire… nient’altro sa fare».
Così da servire su un piatto d’argento, la frecciata all’amico di turno, che maliziosamente chiedeva: «Nient’altro?» «NIENT’ALTRO!!!» era la sua risposta soddisfatta.
Ho pregato Dio e sperato tanto, che non succedesse l’irreparabile proprio in quei giorni di viaggio, e Lui ha voluto accontentarmi. Sono arrivato all’ospedale dopo 12 giorni. 

Mi è successo spesso di fere ciò che la comune morale, il rispetto e l’educazione, consigliano di evitare assolutamente. Ma l’innata insofferenza alle regole e la certezza che spesso il frutto della trasgressione mi regalerà sensazioni, emozioni e piaceri impagabili, anche quella volta mi ha fatto decidere di fare a modo mio. È vero qualche volta me ne sono pentito, quella volta no. 

Sto parlando della decisione di “documentare” la sofferenza, il dolore, lo “smarrimento” della famiglia o la loro/nostra rassegnazione. Così ho fotografato e filmato (anche con l’autoscatto) gli ultimi giorni di vita di mia madre (poi… anche i sei mesi di mio padre).
Non è stato facile, affrontare lo stupore delle infermiere, le facce infastidite dei parenti della paziente che condivideva la camera della mamma, i rimproveri acidi (di conformismo) dei miei parenti, spesso rimarcati dalle facce da compatire, quando mi vedevano fotografare e filmare quel dolore.
Chi non ha mai “reclamato” di questa mia cruda scelta sono stati solo loro, i soggetti. La mamma in questa occasione era incosciente. Ma in verità in altri precedenti ricoveri o difficili convalescenze, quando la debilitante malattia non era comunque da considerarsi… “terminale”, le sue lamentele riguardavano il suo aspetto fisico, non il dramma di non essere più autosufficiente, per tutto… ma: «dai… che c'hò la testa che è un disastro». (La testa, è un disastro??? mi dicevo).  

Papà invece, che è stato presente sino all’ultimo giorno, non mi ha mai chiesto di abbassare l’obbiettivo. Sembrava che approvasse quella documentazione, e di fatto lo era, perché nemmeno quando l’intimità della situazione imponeva una “ragionevole” tregua, mi chiedeva di smettere di filmare. Mai me l’ha chiesto, ma nemmeno con un cenno.
Giustamente il personale infermieristico, che pur avendo compreso la mia “smania” mi chiedeva di essere escluso dall’inquadratura, senza però fare commenti o pontificare giudizi.  

Perché ti ho raccontato questo??? Non so, forse per fartelo sapere o per farti riflettere su un aspetto che la nostra cultura considera in un modo ed altre… diversamente.

Oggi ti racconterò e mostrerò le foto “rubate” alla mamma quando ci parlavamo con Skype (GRANDEEEEE programma). Ci parlavamo tutti i giorni, per ore, io lavoravo su un monitor e lei/loro erano a sinistra sull’altro, per raccontarsi del più o del meno, e… AGratissss. Un aspetto che aggiunge piacere al piacere. 

Gli avevo impostato il computer in modo che all’accensione, Skype si attivava automaticamente.
Così, quando vedevo il pallino verde di… DISPONIBILE li chiamavo. Loro, che erano quasi sempre a casa, e… sempre disponibili, non tardavano a rispondere.
In genere era la mamma, essendo l’addetta al PC, che rispondeva. Difficile che passasse lo scettro del comando al viejo, solo se stava cucinando, e giusto il tempo di sistemare la cottura, poi lo scalzava e si metteva alla poltrona del comando, neanche fosse Capitano Picard, di Star Trek e cominciavamo a cicciarare.

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Eccola come in genere appariva; guardandomi attraverso il monitor e dispiaciuta de non essere vicini. Spesso rispondeva ancora in vestaglia, ma già con la sigaretta accesa. Permetteva al viejo di entrare nell’inquadratura per un attimo, per darmi un rapido saluto con la mano.
Allora lui le si portava alle spalle, e mimando il gesto di un “fumatore”, seguito da un numero fatto con le dita, mi diceva quante sigarette aveva fumato sino a quel momento.  

Lei lo vedeva riflesso nel vetro del monitor e… un fatti i cxxxi tuoi che faceva luce, non glielo toglieva nessuno. 

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Ad una madre, anche se non “domina” perfettamente la tecnologia, sono sufficienti uno sguardo e quattro parole per fare una radiografia al proprio figlio.
«Ciao, come va? Tutto ok?» «Sì certo, tutto bene»
«Mmmm hai una faccia… c’è qualcosa che non va?»
«No nulla, tutto ok. Sarà il monitor, o la connessione che ha dei problemi...».
Si vedeva che non l’avevo convinta, ma l’educazione e la caratteristica riservatezza familiare non la facevano insistere. Tanto sapeva che prima che terminasse la videochiamata gliel’avrei detto. E così succedeva, sempre.
Tante sono le volte ho utilizzato la funzione che permette al programma di fotografare un’immagine durante ¬la conversazione.
Naturalmente le nostre conversazioni trattavano delle solite cose che si raccontano genitori e figli: il tempo, al spesa, la salute e… le visite in agenda.
Una questione questa che da qualche anno l’aveva fatta diventare insofferente a medici, esami ed ospedali. Così, per gioco e provocatoriamente, quando si avvicinava il giorno della visita, inscenavo una “visita medica online” alla quale partecipava attivamente
«dica trentatrè, apra la bocca, tiri fuori la lingua».
Divertita, faceva la linguaccia per concludere il gioco e la videochiamata che terminava così:
«Va beh Adesso vi saluto perché IO… ho un sacco di cose da fare». «Beati voi che non avete un cxxxo di problemi”.
Un sorriso, i beijos e… «chiudo io».

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Mica era vero… a volte li ingannavo. Fingevo di scollegarmi, disattivavo solo la mia telecamera, così non mi vedevano, e restavo a guardarli ed ascoltarli.
Sai quando si dice: vorrei essere una mosca per sapere cosa stanno facendo… ecco, per questo lo facevo.

Ok, ora quel pallino non può più diventare verde e non mi permetterà più fare la “mosca impicciona”.
Vedi, la fortuna di aver fatto alcuni di quei filmati, mi permette ora di guardarli e lenire un poco del dolore e della mancanza che la loro scomparsa ancora mi provoca.
Fotogrammi insignificanti, per le persone che non li hanno conosciuti, non mi stupirei se lo fossero anche per te, è naturale, ma di certo, toccanti e che stimoleranno tanti ricordi anche a qui parenti che con le loro facce da compatire mi invitavano a non farli.

 

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Ciao mamma… continui a mancarmi. Ivo

P.s. Sono diventato nonnooooo. Bjs