Borgonovo era un uomo semplice e profondo, concreto e surreale, metodico e creativo. Questi aspetti potevano non influenzare e caratterizzare la sua pittura? Infatti il suo è un genere figurativo, dove senza nè veli nè filtri mostra il reale, ma una realtà particolare, quella delle ringhiere e dei cortili, raffigura gli oggetti vecchi di uso comune. Le sue opere evocano la vita sui ballatoi milanesi, le professioni che non esistono più, è una pittura concreta, priva di accostamenti cromatici stridenti o soggetti scioccanti, è presentata a tinte coerenti e veritiere, fatta di inquadrature reali, di cortili con l’immancabile lavandino o la porta scassata chiusa col catenaccio a lato della portineria e di muri scrostati per l’umidità.
Sono queste le immagini che Borgonovo ci propone, costantemente e metodicamente nel suo percorso artistico, ma senza che ce ne accorgiamo, insinua a queste immagini, nel corso degli anni, un graduale ed impercettibile cambiamento, giungendo ad una torre di Babele, fatta incredibilmente proprio di quelle ringhiere e quei particolari ben conosciuti o addirittura familiari, per noi suoi estimatori. Borgonovo non era un artista del tipo “genio e sregolatezza”, al contrario, il suo talento l’ha coltivato con impegno, metodo e caparbietà, attraverso una disciplina che se ad altri artisti appariva come una prigione, per lui era fonte di crescita tecnica, sicurezza e piacere intellettivo. La sua giornata (artistica) iniziava alle 05:30, caffè e sigarette lo accompagnavano sino all’ora di pranzo, poi un po’ di svago con i suoi oggetti o documenti, recuperati in discariche o strascee – rigattieri segretissimi. Dopo di ciò, si rimetteva al cavalletto, a pittare – come diceva lui, in compagnia di… sigarette e caffè, sino all’orario di cena. Poi, per variare, se ne stava un po’ al suo tavolo con matite, chine, acquerelli e le ultime sigarette, prima di coricarsi. Il giorno dopo… uguale, e quello dopo ancora.
Anche la scelta dei vari materiali sui quali ha dipinto è stata lenta, graduale, ma sostanziale. Agli esordi, la tela, se si esclude la carta sulla quale disegnava o schizzava, era l’unico supporto sul quale esprimeva la sua opera, a metà degli anni ’70 ha scoperto il legno, e da lì, assi per lavare e taglieri hanno catturato il suo interesse. Poi è stata la volta delle carte, pergamene e cartoni, che trattati ad hoc, si sono rivelati supporti molto stimolanti, che gli hanno permesso attraverso le pieghe da lui sapientemente realizzate, o le esistenti, di soddisfare la sua creatività. Anche le antine dei comodini, le sedute di vecchie sedie, le vecchie spazzole di saggina sono state oggetto di un suo interesse, creando “spessori” nuovi.
Le sue opere, sono state elogiate da esponenti della cultura come Dino Buzzati, Gino Traversi, Mario Lepore e Mario Monteverdi, tra gli altri.
“... con onestà ed amore, egli dipinge i vecchi angoli delle dirute case popolari di Milano, i ballatoi, il ripostiglio, la porta e le persiane cadenti, i ferrivecchi, il muro slabbrato, le consunte mollette da bucato appese allo spago della miseria, c’è persino un quadretto con soltanto un chiodo arrugginito. Repertorio romantico e intimista, in chiave di desolazione un continuo addio alle minuzie dell’antica città che se ne vanno. La gente resta toccata dal sentimento che se ne sprigiona...”
Dino Buzzati
“... l’ho conosciuto quand’era così giovane da circoscrivere il suo vero mondo poetico - gli intonaci vecchi scrostati, cadenti sui muri che avevano il sentore della muffa di cent’anni prima – agli sfondi dei suoi quadri che erano un’ingenua e, forse, inconsapevole protesta contro le ingiustizie della vita. E mi vanto di aver contribuito, semplicemente incoraggiandolo, a spingerlo ad affrontare quei temi che ne hanno fatto per più di un quarto di secolo, anzi per trent’anni, l’interprete fedelissimo e ispirato dei cortili e delle ringhiere: ma fatti così bene da suscitare la voglia di affacciarsi a quei loggiati...”
Mario Monteverdi