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Marzo 2016 
L’otto Marzo è la Giornata Mondiale delle Donne.
La data che, a seguito di una vergognosa tragedia, senza possibile discolpa, è stata scelta per ricordare che l’altra metà del cielo, è assolutamente uguale a quella che per aver riconosciuto il suo valore, deve fare solo la metà dello sforzo. 

 

 

 

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Tra queste donne, ce n’è una parte che si è assunta il compito e la responsabilità di mettere in pratica lo “stile di vita” che rivendicano, manifestandolo quando richiesto, con una affermazione che a noi maschi, fa tremare i polsi: “sono femminista”. Ecco, mia madre è stata una di quelle donne. Il racconto che segue… … vuole essere la descrizione di  alcune situazioni ed aspetti che questa scelta, hanno comportato in lei, nella sua vita familiare, in noi ed in me, che l’ho avuta come mamma.


 

Una scelta non facile, cadenzata di continue prove necessarie ad accreditare la tua coerenza, che generano incomprensioni e problemi che spesso devono essere affrontati in completa solitudine. 
Ma io credo che certe scelte vengano fatte prima ancora del momento che le si fanno.
O per lo meno, per mia madre, la Nemi Tattanelli, credo sia stato così, ed in modo naturale, dovuto.

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Il numero uno è lei, a dieci anni, avvinghiata a suo padre (n.2). Il Boremo negli ultimi anni lavorava in Comune come commesso in biblioteca; appagando la sua grande passione: la lettura. Passione che ha trasmesso alla figlia minore, assieme a quella dello studio e dell’onestà.

Non della disciplina, della diplomazia, e della ribellione, come amava ricordare la sorella maggiore di quattro anni, la Elda (n.4) che diceva: "l’è prepotenta, comandòna e vizziada” e se lo diceva lei… “ma ghe l‘hoo in del fidegh” – ma ce l’ho nel fegato. Anche la madre, la nonna Maria ha avuto il suo bel daffare con la adolescente Nemi, che riusciva a farsene perdonare molte, coi suoi ottimi risultati scolastici più che con la “ruffianeria”. 
Sul retro della foto: dalla Colonia di Dizzasco – 1943 rifugiati presso il Comune Le tre righe diagonali: Dizzasco – Como – torrente

Ps. Che belle le vecchie foto con dietro le annotazioni. 


 

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Nella foto una giovane Nemi che... "la se pòggia al tramm", fermo al capolinea di viale Molise. Sullo sfondo il vecchio macello Comunale.   

 Tra i due (l’Elio e la Nemi), nonostante le apparenze e le frequentazioni che papà aveva in alcuni ambienti politici dell’area di sinistra, prima anarchica e poi “filo-cubana”, è stata la mamma che ha iniziato la militanza politica, per prima. 
Ancamò prima de parlagh al mè papà, con una litigata, (neanche a dirlo) nella sezione del PC, de la Cà del Bastiment, al Calvairaa, quartiere dove abitava da adolescente, col signor Piero, che di cognome faceva Borgonovo, prima che diventasse suo futuro suocero. 
Lui le aveva detto che «i dònn gh'hann de stà a cà a fà de mangià, minga chì a dà i lezion». 

Ti lascio immaginare la giovane “iena” cosa non gli ha detto in quell’occasione, e non ha mai ritrattato, nemmeno quando è diventato suo suocero. Si sono rispettati e voluti bene… ma modo loro.


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Emblematica questa foto che la ritrae giovanissima, quando lavorava in Comune. Il taglio di capelli è quello che aveva quando avevo 2/3 anni, quindi sui venticinque anni. 

Nota come non si preoccupava se il fumo della sua (maledettamente ed eternamente presente) sigaretta stia andando in faccia al suo… capo. 
È sempre stata, (mmm difficile scegliere gli aggettivi giusti) ma… con tutte le virgolette del caso, vorrei dire… “impulsiva” “prepotente” “sfrontata” che non arretrava davanti alla possibilità di un litigio, senza esclusione di colpi (verbale naturalmente).  


 

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Tanto era determinata, intransigente e come detto, in un certo senso… “prepotente”, tanto era appassionata, dolce, premurosa, comprensiva e disponibile ad aiutare, come non ho mai visto nessun’altro. 
Era innamorata persa di mio padre e gli è stata vicino da subito e per sempre. Anche a detta del viejo, la sua crescita culturale ed in parte artistica, è derivata dalle frequentazioni di un livello superiore, che ha potuto avere, proprio perché è cresciuto culturalmente sotto il suo sprono.

Anche se lei diceva: «te seet e te restaree semper vun de Calvairaa»  quando lui faceva il di più -"el gross". Appellativo affettuoso tra loro, "documentato" nella trascrizione di una foto, da lei inviata al "Gross" quando militare, che puoi leggere cliccando qui.
Anche lei era del quartiere Calvairate, solo che fin da ragazzina  leggeva e amava studiare, lui invece andare a correre in bicicletta e a fare gli scherzi con gli amici…

Qui sono in sala, quando era adattata a studio per papà. Lei è avvinghiata a suo marito, mentre Fausto, mio fratello, ed il cane (quello accovacciato sotto al tavolino smile25x3) gli sono davanti.


 

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In questa foto, lei, bellissima, è con la Graziella Colamonico (amica e compagna dal primo momento che si sono conosciute) ed una amica e altre donne escluse da questa inquadratura, negli anni ‘68/70, dopo una assemblea tenutasi all’Umanitaria, la scuola che frequentavo assieme al figlio della Graziella, da Strippoli in piazza Santo Stefano.


 

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Queste sono le foto del “Periodo Antonietta”, che è durato una decina di anni. La  foto grande è lei, in quella a destra dall’alto c’è la Cristina, suo braccio destro ed una impiegata dell’amministrazione. Sotto, coi capelli raccolti stretti tra due amiche a casa (suppongo che la prima a sinistra sia la Velly) e doveva essere prima che mi sposassi, perché quell’asse coi panni stesi è stato il regali di papà che ci ha fatto per il nostro matrimonio, mentre quella quadrata sotto, è ancora lei sorridente ad una festa col personale dell’albergo. 

La questione sociale, e nello specifico quella dell’emancipazione femminile, per mia madre è stata un impegno portato avanti con caparbietà, dedizione e sacrificio per tutta la vita. Anche da non più giovane (guai a dire “vecchia o vieja” anche se scherzosamente) non ha mai perso l’occasione, quando riteneva non fossero giustamente considerati i diritti o discriminata la condizione della donna, per “far sentire la sua voce” e nemmeno a volume tanto basso.

Dopo il lungo periodo di volontariato all’UDI (Unione Donne Italiane), nell’ufficio di via Bagutta, in seguito alla repentina scomparsa della Vally, la mitica Presidentessa della Cooperativa, la Nemi è stata eletta al suo posto, per continuare il lavoro di gestione della Cooperativa Antonietta 
A partire da quel momento (io ero già fidanzato in procinto di sposarmi – 21/24enne) la sua e la nostra vita è stata stravolta da questo impegno.

La cooperativa aveva un locale/ristorante in corso di Porta Ticinese, (4/5 dipendenti) un albergo montano a Caspoggio (10/15 dipendenti) e un albergo a Pinarella di Cervia con una cinquantina di stanze e non so dirti quanti dipendenti. So solo che era una pallina da flipper tra la sede di Milano e le riunioni con commercialisti, avvocati, assicuratori, sindacalisti etc. etc. e queste tre località con le beghe tra il personale, i clienti e la cooperativa. 
A volte, dopo 7/10 giorni che mancava da casa, arrivava dopo cena e la povera era costretta a portarsi a casa il lavoro. Così, passava le nottate con i registri, la calcolatrice, sigarette e caffè, per far “quadrare i conti” che al mattino successivo doveva presentare.

Ricordo di una volta, di una sfuriata col viejo.  Il povero, in certi casi  era davvero uno stordito, e si metteva nei casini senza rendersene conto. 
Erano le… 3/4 del mattino e dalla sera prima la calcolatrice, di là in sala andava in continuazione: trtrtr trtrtr trtrtr. A un certo punto lui si alza dal letto, si dirige in mutande in sala, e vedendola ancora lì, avvolta in una nuvola di fumo a far conti, le chiede: 
«ma cosa c’è che non va?» Lei probabilmente senza nemmeno guardarlo le deve aver risposto: «Mi mancano 12.000 lire” E il rintronato le ha risposto…
«Ti doo mì i dodesmila franch, ma ven in lett adess ».  
Gli inquilini della casa di fronte, non sono scesi in strada, perché i nostri condomini, dalle finestre li hanno avvertiti che era la Nemi che si stava incazzando con suo marito e non un terremoto. Per lei non era possibile che non quadrassero i conti e che si aggiustassero in un qualche modo, fossero 12.000 lire o 120.000.000 di lire.

In questo periodo, principalmente nei primi anni, i cambiamenti di abitudini e regole famigliari non sono stati pochi e non solo per il suo impegno che cresceva, ma anche per le nostre vite che andavano formandosi o delineandosi differentemente da prima. I tre uomini, mio padre si avvicinava alla pensione e suo padre (il Piero), a quella vecchiaia dove l’autosufficienza non è più quella di una volta (dovuta anche dalla vedovanza). Mio fratello entrava in quel periodo difficile dell’adolescenza, dove l’assenza di riferimenti può portare a cammini pericolosi che potrebbero condizionarti per il resto della vita, (fortunatamente Fausto non ha mai dato “problemi” per questa possibilità) ed io, che mi ero felicemente fidanzato, trovato lavoro in agenzia di pubblicità e che “viaggiavo” a 10 cm dal suolo. 

Al lavoro volevo essere all’altezza degli altri e tra le tante cose, anche l’aspetto e l’eleganza, avevano la loro importanza. Così tutte le mattine pescavo dall’armadio la camicia più adatta ai pantaloni, tra quelle che mia madre stirava tra una quadratura di bilancio e una stesura di un intervento. 
Una mattina… «Maaa, dov’è la camicia azzurra senza taschino?» lei dalla cucina preparando la colazione: «Se non è nell’armadio appesa, è nel mio, da stirare ».  
Infatti… lì era. Gliel’ho portata, dicendole «Maaa me la stiri? che ne avevo bisogno». Lei mi ha detto di prendere asse e ferro e portarglieli. L’ho fatto e mentre andavo in bagno a lavarmi, mi ha detto: «No… resta che ti mostro come si fa» - «Dai Maaa che sono in ritardo…» «Lavato e profumato, ho infilato la camicia che era sullo schienale della sedia, e mentre stavo uscendo m’ha detto: «Ivo… quella è l’ultima camicia che ti ho stirato ».  Le ho sorriso, ho dato un bacio (io si che ero ruffiano con lei) dicendole: «ci vediamo sta sera?».  Si certo – ha risposto lei.

La mattina seguente, tutto come sopra, sino a… “Maaa me la stiri …” la sua risposta è stata dolce e soave come il suo sorriso: «Te l’avevo detto che quella di ieri sarebbe stata l’ultima camicia che ti avrei stirato. Avresti dovuto imparare ieri quando ti ho detto di guardare come si fa, non l’hai fatto… Oggi andrai al lavoro con la stessa camicia di ieri». 
È stata l’ultima camicia che mi ha stirato ed io sono diventato un “ghèzz” a stirare le camicie. (7’ cad – piegata).

Viveva però anche dei sensi di colpa, per queste sue assenze prolungate e impossibilità ad essere presente nella vita familiare. Così quando riusciva ad essere a casa per un paio di giorni, cucinava a raffica, per lasciarci delle scorte di alimenti da consumare in sua assenza, ed alleviarci dal compito di cucinare. Sono passati alla storia le padellate di involtini che ci preparava e che ci rimbalzavamo l’un l’altro, accettando qualunque invito di qualunque amico, pur di non tornare ed incontrare nel frigo gli… involtini, la marmitta di insalata di pollo, di riso, ed affini, a lunga… conservazione. 

L’albergo Antonietta, aveva una dispensa grande come la nostra casa, con bancali di scorte. Noi come famiglia abbiamo fatto le vacanze lì, (sconto soci, come previsto dal regolamento) e dato che mi piaceva quel caffè solubile per la mattina, le chiedevo se poteva portarmelo. Certo… ma solo quando il fornitore poteva darglielo e farglielo pagare al di fuori dell’ordine dell’albergo. (Prendere una confezione dal bancale e rimetterla quando arrivava la “mia”… nemmeno pensarci).

Comunque da questa disciplina ferrea ed assoluta (superlativo) onestà, ho tratto vantaggio. Quando la Nemi ha abbandonato l’incarico e la cooperativa, è stata la mia contabile/consulente amministrativa (aggratis tuttoattacccato e con due “g”) in tutte le mie avventure lavorative.


 

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Questi ritagli sono quelli che papà ha conservato e che teneva in una cartelletta, che portava con se, quando andava/andavamo in ospedale ai colloqui coi tanti dottori, che l’hanno curata nei ricoveri che ha subito nell’ultima parte della sua vita. 
Papà “faceva questione” di mostrarli al dottore di turno, quando lui ci descriveva i peggioramenti, non solo fisici della mamma, come a voler documentare che quella donna, così malata e fragile che a volte reagiva o era insofferente a tutto, non era sempre stata così, ma una donna forte, impegnata, combattiva. Era imbarazzante lo stupore del dottore, per quella “dichiarazione” davvero tenera, e così evidente che fosse rivolta anche a se stesso.

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La foto li ritrae il 25 Aprile del 1973 Si trovano al pranzo di nozze della Laura Reggi e del Pietro Valpreda. Sullo sfondo, solo chi la conosceva personalmente, riconoscerebbe la sagoma e la postura della Augusta – sfuocata, subito dietro alla testa di mia madre.  

Quarant’anni lei, tre in più lui. A quell’epoca, io avevo 18 anni, e la foto dei propri genitori mentre  si baciano, “alla francese”, non era una consuetudine molto diffusa nelle famiglie “normali”. E la nostra non faceva eccezione, nonostante i due fossero dei genitori “aperti” “all’avanguardia”, questa è l’unica foto che li immortala baciandosi.
“Aperti, democratici, compagni”. Come mi infastidivano questi termini, coi quali i miei compagni di giochi del quartiere, non quelli di scuola, definivano mio padre e mia madre. Loro, erano aperti, così i miei amici venivano a casa mia non per me, ma per parlare coi miei; gli uomini da papà, che li ammaliava col suo fascino sornione e le femmine dalla mamma, per acquistare convinzione della propria emancipazione femminile.

Una vecchia, più nel senso politico che anagrafico, anarchica, conosciuta da tutti gli anarchici più preparati ed “accreditati” e dai Circoli libertari di tutta Italia. Aveva/lavorava nell’edicola di via Orefici, di fronte al Passaggio degli Osii, dove abitava, al numero uno, all’ultimo piano in un abbaino. Che aveva una vista unica sulla via Orefici. 

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Qui si vedo gli sposi in primo piano: la Laura Reggi – della quale sono amico tuttora – affianco al Pietro Valpreda – che parlava un milanese perfetto e alla sua destra, nel cerchio, la Augusta. Nell’altro, si vede mia madre. La foto è stata scatta dal papà con la “nostra” Cannon FTQL – (35mm-Reflex). 


 

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In questa foto come hai notato, (tre foto su quattro ha la sigaretta in mano. “Schifezza” che non ha mai abbandonato sino all’ultimo giorno, eccetto il tentativo durato un paio d’anni) è solo di un paio d’anni dopo la precedente. 

Se posso affermare che la sua caratteristica era l’assolutismo; per i pregi come l’onestà, la generosità, la disponibilità e la comprensione, avevano davanti questo superlativo, non posso negare che anche per i difetti reggessero questo superlativo. 
Infatti era assolutamente impossibile che perdonasse o dimenticasse uno sgarbo, un affronto, la mancanza di rispetto. Non parliamo (e non è mai successo) di una violenza fisica. E quando era incazzata era meglio starle alla larga. 

Questa foto, suppongo di averla scattata io. Era "incazzata… nera". Suppongo di essere io il fotografo, perché quando saltava fuori, lei non mancava occasione di tirare una “sassata in codice” al papà, e questo anche quando erano ormai vecchi. 
Nota lo sguardo… ti garantisco che papà, se aveva combinato qualcosa per farla incazzare così, non avrebbe potuto scattarle una foto (ricordo). La belva se lo avrebbe sbranato.


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Raggiunta la pensione, si è convertita in una grande amante della “pratica sportiva e della vita salubre”. Tutte le mattine alle 11:00h si preparava, salutava sulla porta el viejo e gli dava appuntamento per un’ora dopo. Percorreva 100 metri (Max), si sedeva al tavolo con gli amici, arrivava “cortadito, aguita y cenicero – caffè macchiato, acqua e posacenere” ed iniziava no le sue due ore quotidiane di “attività sportiva”: le chiacchiere al bar.

Si sa che questo tipo di conversazioni, a meno che non si tratti l’argomento football, mooooolto raramente raggiungono alti livelli di informazione, capacità dialettica e reale senso costruttivo. Così lei, che di calcio non capiva nulla (come il resto della famiglia) si infilava in quelle “chiacchiere da bar” con la convinzione di poter convincere gli interlocutori e la grinta con la quale era abituata ad avere alle riunioni dell’UDI, nella sezione del PC di zona (dove ancora oggi la ricordano con affetto), o nei vari comitati di quartiere nei quali ha sempre prestato la sua opera, raccogliendo il solo risultato di… incazzarsi con tutti. 

Certo solo alcune volte succedeva, ma… quando accadeva, fortunatamente arrivava, un passo dopo l’altro, caaaalmo,  col suo saltapicchio tra le mani (la carta pieghettata) el viejo che già da lontano riconosceva la situazione “elettrizzata” e mi diceva: «incoeu se fermom domà des minutt».

Lei era al centro… sigaretta in mano, tazzina del caffè davanti (probabile il secondo) posacenere con già 5/6 mozziconi, in punta di sedia, si invelenava a destra con uno, mentre ascoltava a sinistra un altro per poterlo ribattere prima ancora che terminasse di parlare, senza trascurare nel frattempo, di mandare sulla forca quello che tentava di calmare gli animi.

Arrivavamo e lei guardava mio padre e le diceva: «per fortuna sei arrivato, che andiamo via Io perché qua non capisce un cxxxo nessuno»  

Ed el viejo… «Nemi son ‘pèna rivaa, lassom bev el cafè, dòpo andemm ». 

Credi che aspettasse quei dieci  minuti necessari per un caffè? Si appoggiava allo schienale della sedia, accendeva l’ennesima sigaretta, metteva zitta, e dando occhiatacce a papà cercava di accelerargli il caffè. E quando vedeva che lui non si spicciava come avrebbe voluto e non si era alzato dopo l’ultimo sorso, lo faceva lei dicendo: «ti aspetto di sopra ».  E se ne andava.

Era davvero difficile schierarsi dalla sua parte e tentare una difesa a meno che non fosse la debole affermazione che lei… era così, sanguigna, per nulla diplomatica o opportunistica, tanto convinta dell’esattezza della proprie idee (non in senso dittatoriale, ma in quanto giuste per tutti – “eque”) da non comprendere che altri potessero averne di differenti ed altrettanto valide. 

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Trovo questa foto, esplicativa della situazione che ti ho appena descritto, scattata al “Campito” regno del Vito, l’amico che sta alla sinistra della Nemi. 

Un siciliano di Lampedusa, (da poco scomparso) trasferitosi ancor prima dei miei, che ha sempre avuto opinioni distantissime da mia madre, in termini politici o relativamente alle questioni sociali, ma che non ha mai mancato di stimarla, anche pubblicamente, per la sua onestà e coerenza. Il sorriso suo rivolto a lei che lo ignora, assieme al mondo, mi fanno sorridere pensando a come l’amicizia sappia unire persone e caratteri così differenti, quando stima e rispetto ne sono le fondamenta. 

Capivamo gli amici che appena allontanata ci si rivolgevano, chiedendoci un “approvazione” che… razionalmente e logicamente noi davamo, magari solo annuendo, ma dalla quale io, in cuor mio, dissentivo, in quanto la amavo anche quando era così, anche verso di me. O forse la amavo proprio per quel suo carattere difficile ma affidabile, perché era… così.

Comunque, col tempo tutti gli amici, anche gli antagonisti più dichiarati, pur continuando a riconoscerle i suoi difetti, non hanno mai smesso di volerle bene e rispettarla, e… quando negli ultimi tempi, era relegata in casa, mandavano a dirle che sentivano la sua mancanza, incluse quelle sue “battaglie all’ultima parola” che la distinguevano da chiunque.

 


 

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Qui , un poco alticcia, a differenza di papà che non sapeva/voleva lasciarsi andare in queste occasioni, alla festa per il loro 50° anniversario di matrimonio, circondati da parenti (eccetto me) ed amici, incrociano i bicchieri per un brindisi di buon auspicio, che non ha voluto onorare la richiesta. 

Mi avvio verso l’ultima parte di questo racconto su mia madre: una femminista in casa. 
Negli ultimi anni della sua vita, gli improvvisi malanni, la ricadute, le sfortune e le lunghe e le massicce quantità di medicinali che ha dovuto sopportare, avevano influito anche sullo spirito e sul carattere, accentuando quelle caratteristiche spigolose che prima di questa fase erano saltuarie e controllate. Pertanto non te le descriverò.

Ti dirò che… dietro a quella “militanza femminista” c’era anche una donna romantica, rispettosa del suo uomo e del ruolo che deve avere  in famiglia, in una parola che non accetterebbe, era anche… “tradizionalista”.



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Questa è la foto che papà teneva nel portafogli e che amava dire… “I mè dònn”. Lei e della Cari (bruta perrita Canaria – Barboncina destinato al canile, epilettica e col muso progno – quando la mascella inferiore sborda dall’asse della superiore)  – che li ha accompagnati per tanti anni, dando ad entrambi, un poco di quegli affetti che la distanza gli ha tolto.

 

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Ndr Proprio oggi, ascoltando la radio, ho sentito che Maria Santini e Luciana Tavernini, (naturalmente sai... che per la mia riconosciuta ignoranza, non la conosco) ha pubblicato un libro intitolato: "Mia madre femminista. Voci da una rivoluzione che continua" edito da Il Poligrafo 2015 - pp. 250 - 20,00 euro.

Bhe... 250 pagine, il mio racconto è un SMS al confronto. Per saperne di più, clicca qui. 

 

 

 

 


 

Nemi, Francesca, Maria, Bianca, Giovanna o …

“L’atroce dolore per la sua perdita, è niente, se paragonato alla fortuna di averla avuta.” 

Qui sotto, ho pubblico due poesie di Paola Cavanna, dedicate a Francesca, sua madre. Lo spazio bianco a seguire è… infinito ed in grado di contenere il TUO pensiero per TUA madre,
Teresa, Luisa, Maria Lurde, Pina, o …

Sotto ancora… ho pubblicato alcune opere di papà che hanno come soggetto la donna. 

 

Paola Cavanna

Mia Mama

Vardi in d'on album de vegg fotografii

e me regòrdi de come l'era bella

cont on vestii a “pied poule”

fòrsi compraa a l'Upimm

i cavèi bisc e negher: ma l'è quella

la mia mama che adess l'è quattr'ossitt?

 

L'è quella che la me portava in brasc

se seri stracca e sora i sò genoeugg

la me faseva ballà: -Cavall, tròtt, tròtt!”

 

Adess: on'influenza e l'è già on strasc

e ghe diventa pussee ciar i oeugg

L'è quella che la dis: -Gh'hoo i òss tutt ròtt...-

 

El ben però l'è pròppi sempr'stess 

La gh'ha besògn de mì 'me 'na pattana

e mì me intenerissi perchè adess

son la soa tosa e sont on poo soa mama.

 

Paola Cavanna (dal libro “L'ultima ringhera” )

 

Minga deperlee

Taccada a on fil de vita cont i dent

la sbiaviss tutt'i dì, pian pian la và

Mi la vardi morì, pòdi digh nient

per dagh la fòrza de passà de là

 

La tegni dent i man 'me on passarin

intant che la se smòrza 'me on ciarin

 

Mì preghi pù, che tant hoo mai pregaa

ma me vegnen in ment fin i orazion

tornaa a la bocca facil, dislenguaa

insèma al gropp de tutt 'sto gran magon

 

Ma vers el ciel mì son coi pugn seraa

perchè l'è lee che la scunta i mè peccaa

 

Perchè di sò de segur lee ghe n'ha nò

e anca se j aveva hinn tutt purgaa

nettaa da 'sto calvari. Ma se pò

pensà che pròppi inscì voeur vess pagaa

 

'sto Signor ch'el perdòna chi le coppa

e 'l manda i tribuleri a chi no tocca?

 

L'andarà via, ma solla me rincress

allora insèma ghe mandi la tosetta

che gh'evi dent, che mai l'ha vorsuu cress

coi sò sògn tal e qual e anmò perfetta

 

la soa fed, la speranza, l'innocenza...

Me mancarann. Ma ormai pòdi fann senza!

 

Paola Cavanna (dal libro “Lultima rinchera”)

 

 Spazio libero...

 

 

 

 


 Alcune opere di papà

soggetto: "la donna"

Per concludere questo racconto narrato con la prospettiva dei miei occhi, te ne propongo una differente, una visiva; quella di mio padre, in alcuni casi di mia madre, in altri della donna.

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 Questa è mia madre, dipinta da papà, quando era incinta di me. 

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 Questa potrebbe essere lei con mio fratello, o per lo meno è così che me lo immagino

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 Ricordo che papà raccontava aver fatto una visita a San Vittore, nel reparto femminile.
Ma non so se questo disegno è antecedente al fatto.

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 Dallo chignon potrebbe essere  la nemi, e mi piace immeginarla in piazza Insubria.

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 Indubbiamente lei, riposando.

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Ok… finito. elbor

 Mi manchi tanto mamma. Ivo

 

 

 

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Se scrivom... elbor